Mio figlio è dislessico o svogliato?
Quante volte sarà capitato ad un genitore di porsi la domanda “mio figlio è pigro, svogliato o presenta qualche difficoltà?”.
Quante volte sarà capitato ad un genitore di porsi la domanda “mio figlio è pigro, svogliato o presenta qualche difficoltà?”.
“E se si, come posso comprendere a pieno la differenza?”
Nella pratica clinica faccio quotidiana esperienza di genitori disorientati e confusi, che non riescono a guardare in maniera oggettiva al vero problema dei figli. Genitori che si lasciano troppo frequentemente influenzare da insegnanti che non sempre sono in grado di riconoscere fin da subito i bisogni di un alunno.
Al primo “suo figlio non studia”, “suo figlio non sta attento” il genitore è portato a pensare di dover ingaggiare insegnanti privati che facciano “fare i compiti”.
Ma è davvero questa la soluzione?
Certamente queste figure possono supportare scolasticamente i figli ma spesso, se si tratta di difficoltà più radicate, non rappresenta la soluzione ottimale.
E’ di primaria importanza saper ascoltare i propri figli e provare insieme a capire cosa li turba e che tipo di ostacoli ci sono.
La dislessia, che ribadiamo, non è una malattia o un disturbo clinico, quanto piuttosto una caratteristica e un funzionamento differente del cervello, non sempre è evidente a primo impatto. Perchè?
Perché farne eventuale diagnosi è un processo lungo che richiede tempo e professionalità, lavoro di equipe ed energie emotive.
Essa infatti, è un deficit nell’apprendimento della lettura e si manifesta con lentezza e fatica nel leggere frasi e singole parole.
Tali caratteristiche sono qualitativamente e quantitativamente meno marcate nei bambini della stessa età senza DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento).
Pensare di confrontare la dislessia con un comportamento di “svogliatezza” è particolarmente poco accurato e oltremodo fuorviante.
In Italia ancor di più, il livello di conoscenza della problematica rimane ancora basso sebbene i mezzi di comunicazione e l’indubbia crescita di emissioni di diagnosi di dislessia, le abbia dato visibilità.
Un problema potrebbe essere rappresentato dal tipo di comunicazione e di informazione che si producono.
I professionisti del settore, sono gli unici a poter accertare la potenziale presenza di un disturbo dislessico mediante colloqui, osservazioni e valutazioni testistiche.
All’interno del percorso abilitativo/riabilitativo, figure quali insegnanti svolgono un ruolo fondamentale e prendono parte attiva al processo educativo rivolto al bambino dislessico.
E’ chiaramente sempre e assolutamente consigliato rivolgersi a psicologi, neuropsichiatri, logopedisti prima di trarre conclusioni affrettate, perché in casi di dislessia sono presenti difficoltà oggettive e neurobiologicamente definite, che non si possono semplificare con la tipica frase “suo figlio è svogliato”.
Qual è quindi il miglior metodo per una corretta presa in carico di un bambino con difficoltà scolastiche?
E’ sempre opportuno iniziare un iter valutativo per poi intraprendere un training di potenziamento della durata minima di 6 mesi al fine di comprendere se il bambino possa sviluppare delle strategie di compensazione utili per procedere in autonomia o se continuare con un altro ciclo di training. Attenzione però: la dislessia non si risolve con una maggiore concentrazione e impegno, ma perdura per tutta la vita essendo una condizione neurobiologica.
Sicuramente oltre alle strategie di compensazione si può lavorare sul sentimento di inadeguatezza e perdita di motivazione i quali spesso vengono sperimentati dai bambini con DSA.
Di aiuto e supporto può essere inoltre la figura del Tutor DSA, il quale sarà incaricato di seguire passo passo il percorso scolastico del bambino aiutandolo il più possibile a rendersi autonomo, secondo i casi specifici.
Articolo scritto da:
Dott. Flavio Bruno